Editoria digitale nel 2023: il punto della situazione
A che punto siamo nel mondo dell’editoria digitale? Diversi fattori stanno concorrendo a creare cambiamenti, ma anche sfide per questo mondo sempre in movimento.
In Italia l’eBook ha compiuto 20 anni l’anno scorso, tra luci e ombre. È comunque opportuno fare un piccolo riassunto dell’evoluzione generale dell’editoria digitale negli ultimi anni.
Dal 2018 al 2020, dal social al podcast
Per quanto riguarda l’editoria digitale nel suo complesso, non ci sono grosse sorprese. Già nel 2018 un rapporto sul consumo di informazione di AGCOM indicava il formato video come quello preferito dall’utenza per la fruizione delle notizie. La fine del dominio della parola scritta affiancata a “news” poteva produrre solo delle alternative, ma l’evoluzione non aveva fatto (ancora) i conti con la pandemia. Durante il lockdown del 2020, infatti, un nuovo formato ha iniziato a prendere sempre maggiore piede nelle case, quello del podcast. Nel frattempo si è consolidato il ruolo degli editori nel contrasto alle fake news, essendo il fulcro dell’editoria digitale basato sul concetto di attendibilità e verifica delle fonti. Secondo l’osservatorio permanente Ital Communications-Censis, infatti, l’84% degli italiani preferisce informarsi sui fatti di cronaca o di politica attraverso i canali tradizionali. TV, quotidiani cartacei e digitali e radio sono preferiti ai social, considerati fonti decisamente poco attendibili.
Il 2023: salto di categoria basato su autorevolezza e autenticità
Ora l’editoria digitale è chiamata a una sorta di “salto di categoria” e si fanno sempre più insistenti le voci di una sua equiparazione de facto all’editoria tradizionale. Lo scorso 24 gennaio si è tenuto, alla Biblioteca Nazionale di Roma, un convegno organizzato dall’Ordine dei giornalisti. In questo convegno si è discusso a lungo del nuovo ruolo che l’editoria digitale occupa nel panorama italiano e delle responsabilità che è chiamata ad affrontare. Si è parlato anche di scrivere le norme che permettano l’accesso ai finanziamenti pubblici, a patto che si garantiscano autorevolezza, qualità ed eticità.
La sfida con l’AI: un’opportunità o una sconfitta certa?
Gli ultimi mesi “digitali” hanno un po’ sconvolto il paradigma della ricerca di informazioni. L’avvento di ChatGPT e di innumerevoli altre AI ha cambiato il modo di concepire il reperimento e l’elaborazione della conoscenza. Questi strumenti stanno prendendo piede anche su canali che già a suo tempo avevano soppiantato realtà più tradizionali: i motori di ricerca.
Ma questa evoluzione rischia di far precipitare un quadro in continuo mutamento? Sì e no. Ci sono molteplici ragioni a dimostrazione di questo. Innanzitutto si parla di tecnologie appena uscite dalla fase embrionale. Da una parte stanno creando scalpore, ma dall’altra sono ben lungi dall’essere totalmente affidabili. Non a caso gli innumerevoli banner di segnalazione e disclaimer sparsi per tutta l’esperienza di utilizzo di un AI sembrano quasi dissuadere dal credere a quello che si cercherà. L’AI sta dimostrando una formidabile elasticità nel reperire ed elaborare una gigantesca mole di informazioni, ma il problema è che non sempre queste si rivelano corrette.
Come segnala molto bene Simone Righini, SEO Manager del gruppo Digital360, prima di preoccuparsi degli effetti diretti di questa tecnologia sul mondo dell’editoria, bisogna considerare diversi fattori. Ogni cosa scritta da una persona ha dei diritti e la ripubblicazione gratuita e manipolata non è tra questi. I motori di ricerca come Google e Microsoft hanno dichiarato che tuteleranno in ogni modo i clic sui risultati. Questo perché gli editori digitali si basano su questo meccanismo per alimentare e produrre contenuti, materia prima necessaria alla stessa AI per poi produrre i suoi risultati. Il grande business di link sponsorizzati è pesantemente minacciato dai chatbot e quindi ci si aspetta una reazione di adeguamento in tal senso. Siamo quindi in un quadro non ancora chiaro e definito. Ci sono poi molte altre ragioni, ma l’unica vera arma che viene individuata è sempre una, quella della qualità. Una qualità che è merce sempre più rara e difficile, visto il suo inevitabile e costante abbassamento.
E l’eBook?
In Italia il libro digitale rimane un po’ una contraddizione. Se è vero che siamo a un compleanno anagrafico che supera i due decenni, la cultura dell’eBook rimane per certi versi ancora al palo.
Secondo i dati AIE il mercato della varia, che raccoglie saggi, opere letterarie, narrativa, storia e documentazioni, manualistica, nel 2022 è valso 1,775 miliardi di euro, in calo del 2,5% rispetto al 2021. Per quanto riguarda il valore degli abbonamenti, gli audiolibri sono cresciuti, passando dai 24 milioni di euro del 2021 ai 25 milioni del 2022 (+4,2%). Gli eBook, invece, sono scesi dell’8%, passando da 86 milioni di euro a 79 milioni. Anche le pubblicazioni in eBook sono calate, un dato ancora provvisorio che segnala un -28,6% rispetto al 2021 e -27,8% rispetto al 2019 (periodo pre pandemia).
Insomma, meno eBook e meno vendite. Un binomio che sembra profondamente legato, dato che secondo Giacomo D’Angelo, CEO di StreetLib, la maggior parte degli editori vede l’eBook come un’alternativa neanche troppo benvoluta al cartaceo. Poco diffuso ancora il sistema dell’abbonamento, salvo le isole felici dei grandi della GDO (come Amazon), oppure il sistema di prestito MLOL. Poco diffusa anche la volontà di fare uscire tutte le nuove pubblicazione in duplice veste, digitale e cartacea. Per dare alcuni numeri, su 75mila novità in cartaceo, solo 35mila hanno la corrispettiva versione digitale. Un divario che rischia di minare ulteriormente il mercato dell’eBook in Italia che, a differenza di altri paesi, vede una crisi sia della domanda che dell’offerta.
Il quadro è comunque mutevole e la “globalizzazione digitale” del libro difficilmente consentirà a lungo il perdurare di modelli non innovativi. Non resta che attendere.