Ma le AI sognano pecore elettriche?
Qualche mese fa era solo un bisbiglio di sottofondo, mentre ora sembra indispensabile nelle nostre vite. Sto parlando dell’AI, l’intelligenza artificiale che si è sostituita alle operazioni più disparate.
Mi serve una ricetta della crostata di mele? Chiedo all’AI, che è più veloce di Google. Devo tradurre in fretta un intero articolo in più lingue? Chiedo all’AI, che fa meno errori di Google. Devo perdere un po’ del mio tempo? Chiedo all’AI, che è più divertente di Google.
Insomma, questa intelligenza sembra in tutto e per tutto migliore del genitore boomer. Non per niente si è guadagnata la nomea di internet dentro internet. Un po’ come Her, ma senza la voce di Scarlett Johansson.
Molti l’hanno vista come una rivoluzione, ma altri temono l’affronto personale. “E se poi ci ruba il lavoro? E se i nostri figli smettono di pensare? E se il mondo diventasse l’abisso d’acciaio pronosticato da Asimov?”
Eticamente la questione è complessa, ma pensare che l’AI contemporanea possa davvero sostituire l’uomo è prematuro per molti motivi.
L’entropia del testo
In primo luogo, l’AI basa la sua intelligenza proprio su di noi. Se internet diventasse una rete popolata solo di contenuti prodotti da AI, le AI stesse non saprebbero che pesci pigliare.
Diverse prove sul campo hanno dimostrato che tutti i migliori strumenti di AI detector sanno distinguere senza difficoltà i testi di un’intelligenza artificiale da quelli umani. Infatti, anche se a una prima lettura potrebbero sembrare identici, i primi sono facilmente riconoscibili per la loro prevedibilità. In sostanza, l’AI funziona secondo ciò che in linguistica viene definito expectancy grammar o grammatica dell’anticipazione, ovvero una serie di meccanismi probabilistici secondo i quali, in base al contesto, viene preferita una parola rispetto a un’altra. Tutti i giorni ognuno di noi lo fa inconsciamente, ad esempio quando ascolta una frase, anticipando mentalmente ciò che verrà in seguito.
Tuttavia, anche se le nostre parole hanno per loro natura un certo grado di prevedibilità, le variazioni che il cervello decide di applicare sono troppo numerose perché una macchina (come per esempio un AI detector) sia in grado di predire davvero la forma finale che prenderà la frase. Diversamente invece accade per i testi generati dalle AI, che sono sempre statisticamente prevedibili.
La volontà di creazione
La questione si pone solamente quando si entra nel campo creativo dell’essere umano. Dubito che qualcuno si senta minacciato dalla propria lavatrice, solo perché lava meglio i panni. È progettata per farlo, altrimenti non sarebbe utile in alcun modo. La vera differenza tra l’umano e l’AI non sta quindi nel risultato finale, ma nella volontà di creare qualcosa. Infatti, per quanto le nostre capacità siano in un certo senso limitate rispetto a quella dell’AI, partono sempre dal desiderio di essere espresse. Viceversa, l’AI aspetta un comando per produrre qualcosa, non prende mai l’iniziativa. Almeno per ora.
Scrivere un libro con l’AI
In questa prospettiva, dunque, l’intelligenza artificiale potrebbe essere un ottimo strumento per chi ha le idee, ma non ha le capacità per metterle in pratica. Già ora pare che su Amazon si trovino molti libri scritti o co-scritti con ChatGPT, soprattutto riguardanti l’argomento AI, ma anche raccolte di poesie e libri per l’infanzia. In pratica, si definisce una propria unicità stilistica sul prodotto già semilavorato dall’intelligenza artificiale.
Un esempio di questo utilizzo è dato dal commerciante Brett Schickler. Intervistato dal giornalista di Reuters Greg Bensinger, ha spiegato come l’AI gli abbia finalmente dato la possibilità di scrivere un libro per bambini. Partendo dalla chatbot di OpenAI, Schickler ha elaborato un testo di 30 pagine corredato da illustrazioni (anch’esse generate dall’intelligenza artificiale), poi messo in vendita tramite il servizio Amazon Direct Publishing sia in eBook sia in cartaceo. Sebbene i guadagni non siano stati altissimi, il commerciante si è detto soddisfatto e pronto a rifarlo, perché l’AI ha colmato le sue mancanze letterarie e grafiche, oltre a fargli risparmiare tempo per l’elaborazione del progetto.
La proprietà intellettuale
Resta da capire come gestire la questione della proprietà intellettuale, tema finora rimasto irrisolto. Amazon ha dichiarato che non intende modificare le proprie regole di pubblicazione in seguito all’uso delle AI, purché i testi autopubblicati non contengano parti di cui non si possiede il diritto d’autore.
Il problema è che la stessa chatbot di OpenAI, la più utilizzata al momento per questo tipo di pubblicazioni, non risulta molto a suo agio con la domanda. Nei termini di utilizzo di OpenAI, pare che sia l’input sia l’output siano di proprietà dell’utente: “You can use Content for any purpose, including commercial purposes such as sale or publication, if you comply with these Terms”. Tuttavia, a richiesta diretta, la chat risponde: “Se utilizzi i miei testi per scopi commerciali, come la vendita ai tuoi clienti o la monetizzazione sul tuo sito web, stai violando i diritti di proprietà intellettuale di OpenAI. Per utilizzare i miei testi per scopi commerciali, hai bisogno del permesso esplicito di OpenAI.”
Per alcuni potrebbe sembrare un inganno, per altri un modo semplice per far avverare i propri sogni. Per ora, possiamo stare sicuri che quelli delle AI non siano ancora popolati da pecore elettriche.