La cultura dello stupro, ovvero della malafede
Di recente mi sono imbattuta in Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, un film del 1980 di Pedro Almodóvar. Pepi sta sferruzzando un maglione insieme a Luci e le confessa con noncuranza di essere stata violentata la settimana prima dal marito dell’amica. Luci le risponde più o meno così:
“Quel porco! Con le altre sì e a me niente. Beh! Poco male, almeno avrai goduto un po’.”
A prescindere dal tipico stile “vivace” di Almódovar e senza entrare nel merito dell’arte, è chiaro come questa affermazione sia ormai fuori tempo e suoni, quarant’anni dopo, in maniera molto diversa da allora.
Pochi mesi fa per La Novella Orchidea ho avuto il (dis)piacere di curare la pubblicazione de Lo Sparviere, un racconto che ruota intorno al tema della violenza sessuale. Consiglio a tutti di leggerlo (qui potete trovare un estratto gratuito), non solo perché è tratto da una storia vera, ma anche perché mette a nudo diversi aspetti della cultura dello stupro.
La cultura dello stupro
Cos’è la cultura dello stupro? Il concetto sociologico di rape culture esisteva già negli anni ’70. È stato ripreso dai movimenti femministi come il Me Too per combattere l’errata concezione che lo stupro sia un episodio raro e fuori dal comune, che non trova fondamento nel nostro sistema sociale, ideologico e culturale. In questo senso, non solo la violenza sessuale è considerata sexy, ma il consenso all’atto è del tutto superfluo. Dove il sesso è per sua stessa natura qualcosa di violento, dire sì oppure no non fa molta differenza.
Frasi giustificatorie come “Se l’è andata a cercare” (victim blaming) o “Mi ha provocato col suo comportamento o i suoi vestiti succinti” (slot shaming) fanno parte di un ecosistema che mira a stigmatizzare i comportamenti e il desiderio sessuale della donna, considerandoli eccessivamente volgari e inappropriati. Di fatto, però, alla donna non è riconosciuto alcun diritto di godere o di poter decidere cosa fare della propria vita sessuale.
La violenza sessuale e l’aggressività maschile non sono solo un modo “banale” di sottomettere la donna, ma veri e propri strumenti di normalizzazione e di educazione della donna stessa. La qual cosa, naturalmente, si contraddice da sola: se consideriamo la donna un oggetto, che senso ha educarla? E com’è possibile che una cosa inanimata dimostri tutta questa intraprendenza nella sessualità, tanto da spingere l’uomo a doverla soffocare con la violenza?
I termini della violenza
Ci sono molti modi per descrivere un comportamento sessuale non consensuale.
Lo stupro si riferisce a un atto sensuale completo in cui l’aggressore penetra la vagina, l’ano o la bocca della vittima con il pene, la mano, le dita o altri oggetti. Spesso la vittima subisce violenza fisica o psicologica primo dello stupro stesso e non è completamente cosciente (perché incapace di intendere o perché sotto l’effetto di droghe).
Per abuso sessuale, invece, si intende ogni tipo di contatto sessuale non consenziente. Nonostante tutti possano essere vittime di abuso sessuale, questo termine è tristemente noto per essere associato ai bambini. Spesso e volentieri l’abuso sessuale si traduce infatti nel coinvolgimento di un minore in una qualsiasi attività sessuale, anche senza contatto (il Web è purtroppo un veicolo potentissimo per questo tipo di comportamento).
Infine, la violenza sessuale comprende genericamente qualsiasi attività sessuale con una persona non consenziente, includendo quindi lo stupro, l’abuso sessuale, l’esibizionismo, il voyeurismo, l’incesto, la molestia sessuale, etc.
La cultura della malafede
Nel suo saggio Il secondo sesso, Simone de Beauvoir scriveva:
C’è una strana malafede nel conciliare il disprezzo per le donne con il rispetto di cui si circondano le madri.
Basta una festa come l’8 maggio per rendersene conto: tra un mazzo di mimose e un meme su Facebook, ci siamo (quasi) dimenticati che durante la pandemia il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking (1522) ha ricevuto il 79,5% di chiamate in più. Chiamate che, proprio nei giorni di lockdown, quando si sono chiuse sulle famiglie le quattro mura di casa, hanno sfiorato picchi del 182,2% in più rispetto all’anno precedente.
Viviamo in una sistema che fa del rispetto delle madri e della famiglia il valore più alto delle nostre tradizioni, ma siamo costantemente irradiate da quel sottile disprezzo, da quella sorta di compassione che ci hanno insegnato ad avere per noi stesse fin da piccole. E nonostante tutti noi, di qualsiasi età, sesso e razza, possiamo essere vittime di violenza, nessuno come le donne è ancora oggi circondato da una vera e propria cultura della malafede.