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La Novella Orchidea

Il liutaio: artefice umano, divino o diabolico?

Non sarà certo sfuggito ai lettori de La Novella Orchidea il tema ricorrente della collana: il liutaio come personificazione del “male”. Di fatto, quasi tutti gli scritti di Ricardo Tronconi ruotano, in qualche modo, intorno a questa losca figura, dai contorni spesso un po’ sfumati, grotteschi e sudici. L’autore non svela mai cosa lo spinga a riconoscere nel liutaio la figura del maligno, anche se in Liutello viene fornita una spiegazione parziale:

“Non suona il violino,” contestò Orgaio, “ma lo fa. Per questo motivo è una figura così malvagia: costruisce il male con le proprie mani, plasmandolo dal bene.”

Tutti gli atti più spregevoli, quindi, e in particolare l’adulterio, sono da ricondurre a un liutaio. Nel caso di una relazione fedifraga, infatti, il liuto (o il violino) viene usato sia come strumento di fascinazione (per la forma fallica del manico) sia come strumento di violenza. La mano (o l’archetto), passando sulle corde della cassa (simbolicamente, l’organo femminile), ne strappa con violenza le corde, corrompendo lo strumento per sempre.

Una tavola tratta dal fumetto Lo sceriffo di Godhill on Avon, disegnata da Marco Visentin. Tutti i diritti riservati.

E se è vero che in qualche caso al male fatto vi è perdono e pentimento (Il violino del Maharajah), in altre novelle la condanna è definitiva. Nel caso de Lo sceriffo di Godhill on Avon, il culmine del rapporto adultero di una principessa con un liutaio viene simbolicamente definito “omicidio”. Ne Il peso dell’aria e le sue conseguenze un liutaio è addirittura fisicamente coinvolto in una scena del crimine.

Una tavola tratta dal fumetto Il peso dell’aria, disegnata da Calogero Burgio. Tutti i diritti riservati.

Ma perché l’autore cita più volte Cremona nei suoi scritti? E in quali miti e leggende affondano le radici di alcune creazioni dei liutai, fino a essere definite addirittura… “strumenti del diavolo”?

La liuteria di Cremona

Cremona è per eccellenza la città dei liutai. La tradizione della liuteria cremonese ebbe inizio nel 1539, quando Andrea Amati, primo costruttore di violino secondo gli storici, aprì la sua bottega. Diede vita a una lunga discendenza di artigiani liutai, attiva fino alla metà del XVIII secolo. Alla famiglia Amati subentrò la famiglia Guarneri (tra i suoi clienti, famosissimo fu Niccolò Paganini). Ma la storia della liuteria cremonese vanta anche nomi come Antonio Stradivari, alunno di Nicola Amati, Carlo Bergonzi, che collaborò con tutte le famiglie sopra dette, e infine Lionel Tertis, che dedicò la sua vita alla ricerca della misura perfetta per la viola.

Non è un caso se ciò che distingue i liutai cremonesi da tutto il resto del mondo è proprio la tecnica di costruzione degli strumenti ad arco, tramandata di generazione in generazione, grazie alla quale non possono esistere due violini esattamente identici. La cultura dei “saperi e saper fare liutario della tradizione cremonese” è così universalmente riconosciuta da essere stata iscritta, il 5 dicembre 2012, nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO.

Mappa di Cremona all’epoca degli Amati (1570).

Ma la liuteria cremonese non vanta solo una storia eccezionale. È diventata famosa anche nella letteratura, grazie alla buona impressione che lasciò in scrittori del calibro di Honoré de Balzac, Herman Melville e Gabriele D’Annunzio. Anche l’inglese Jerome K. Jerome, nel 1888, riprese in chiave umoristica uno scritto del francese François Coppée, intitolato proprio “Il liutaio di Cremona”.

Il motivo di questo fascino, oltre a Cremona stessa e alla sua arte sopraffina, è da ricercarsi proprio nello strumento più famoso che i liutai creano: il violino.

Il violino del Diavolo

Uno dei frutti del Rinascimento è l’esaltazione convinta dell’individualità dell’uomo che, soggetto unico in tutto il Creato, è in grado di autodeterminarsi e di coltivare le proprie doti, plasmando la Sorte a suo piacimento e favore. Il violino, nato tra il XVI e il XVII secolo, interpreta quindi le idee fondamentali di quell’epoca, che stava ormai volgendo al termine.

Con la sua voce acuta, è capace di gareggiare con la voce umana e predominare sugli altri strumenti in termini di espressività e forza penetrativa. La sua ricchezza timbrica offre al musicista un’ampia possibilità di scelta da usare secondo le sue personali intenzioni compositive. Questo strumento chiede quindi all’uomo tutto il suo ingegno, il suo impegno, la sua pazienza. È lo strumento anti-meccanicistico per eccellenza.

Non stupisce allora che il violino sia diventato un simbolo di virtuosismo, di come il suo costruttore (e suonatore) riesca a creare qualcosa di “alto” e di “altro”, giocando con il proprio talento. Il trillo del diavolo di Giuseppe Tartini (1692-1770), una sonata per violino in sol minore diventata famosissima per la sua complessità (ispiratagli in sogno dal diavolo in persona), ne è un esempio.

Il sogno di Tartini, illustrazione di Louis-Léopold Boilly (1761-1845).

Ma è sicuramente con Niccolò Paganini (1782-1840) che si compie definitivamente il passaggio simbolico da violinista ad anima posseduta dal diavolo. Solo chi ha fatto un patto col diavolo (o ne è forse addirittura figlio) può suonare in maniera così perfetta, al punto da sembrare quasi disumano. Del resto, il mito di Paganini è diventato così famoso nella storia che perfino nella musica italiana del secolo scorso ne troviamo un traccia. Tutti conosciamo la celeberrima strofa di Franco Battiato che in “Lode all’Inviolato” recita così:

E lo sapeva bene Paganini che il diavolo è mancino e subdolo e suona il violino… 

Al di là della leggenda, è bene ricordare che il violino fu agli albori usato come accompagnamento alla danza. Nel XVI secolo, soprattutto alla luce della Riforma protestante e della Controriforma, la danza popolare era associata a qualcosa di folle e grottesco, tanto da ipotizzare che fosse stata inventata dal diavolo in persona. È quindi facile capire perché il violino abbia attraversato i secoli con una nomea ormai entrata nel sentire comune: lo “strumento del diavolo”.

Il liuto: come nasce (e decade) un mito

Se il liutaio costruisce il violino, da dove nasce il liuto? Le radici della passione europea per il liuto sembrano affondare nel Medioevo. Gli Arabi importarono questo strumento in Europa col nome di “al‘ud” (letteralmente “il legno”). Tuttavia, come per il violino, il liuto comincia ad avere fama solo intorno agli inizi del ‘500.

È sempre il Rinascimento, con l’emancipazione della musica strumentale, a riconoscere nel liutaio un vero e proprio artista, un uomo che costruisce lo strumento con cui creare la divina musica. In poche parole, il liutaio è un vero e proprio “Creatore”: mente e braccio insieme. Tanto più che le corde del liuto si pizzicano con la mano, senza bisogno dell’archetto.

Il liutaio è quindi un uomo ben consapevole della propria arte e del proprio saper fare estetica. Già alla fine del XVI secolo e per tutto il XVII, la ricorrenza ossessiva del liuto e del liutaio fugge dall’ambientazione celeste e va a confluire quasi totalmente in una concezione più umana di puro diletto. I suonatori di liuto nell’arte pittorica del XVI, XVII e soprattutto del XVIII secolo vengono raffigurati nelle osterie o nei bordelli, immersi in esecuzioni musicali volte alla seduzione e alla goliardia.

Come il violino, anche il liuto (se pur in forma più “volgare”) diventa simbolicamente lo strumento del diavolo, dopo essere “caduto” dalla volta celeste. Il liutaio non è più il creatore di qualcosa di angelico che eleva l’anima, ovvero la musica, ma di uno strumento di seduzione, che rende diabolico anche il suo artefice.

Ad ogni modo, nessuno fin dagli albori pare sia riuscito a sottrarsi all’incantesimo del liuto e del violino, né al fascino dei loro creatori. Peccaminosi simboli di bellezza e corruzione al tempo stesso, il liutaio e il suo strumento sembrano proprio la metafora del serpente e della mela di Eva nel Paradiso Terrestre. Detentori di una conoscenza che tuttavia, se offerta con l’intento sbagliato, porta inevitabilmente alla caduta.

Peccato originale e cacciata dal Paradiso Terrestre di Michelangelo Buonarroti, ca. 1510. Cappella Sistina, Città del Vaticano.

Classicista di formazione, opero da nove anni nel campo della correzione di bozze, del copywriting e dello storytelling. Coordino tutte le pubblicazioni della collana "La Novella Orchidea" fin dalla sua fondazione e collaboro anche in altri progetti nell'area Social Media Marketing.

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