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La Novella Orchidea

La “pila della vergogna” e altri diritti

L’uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale.

Così iniziava (o finiva) uno dei miei temi alle superiori, e non credo nemmeno che fosse il primo in cui usavo questa frase. Era il periodo naïf della giovinezza scolastica, quello in cui si cerca di impressionare i professori con citazioni “da adulti”. Ovviamente, uno dei miei autori di riferimento era Daniel Pennac e Come un romanzo calzava a pennello in molte occasioni.

I dieci diritti

Anche se ora sono adulta e non cito più i libri a casaccio, i dieci diritti del lettore rimangono tra i miei capisaldi (o, per meglio dire, tra le scuse migliori). Infatti, crescendo si deve a forza di cose sperimentare l’abbandono parziale o totale della lettura. Ci sono cose più importanti: il lavoro, il pisolino pomeridiano, lo scrolling di Facebook…

In effetti, è del tutto plausibile che lo stesso Pennac abbia stilato questa lista per giustificare le sue abitudini poco ortodosse e le abbia spacciate come diritti del lettore, nei quali possono riconoscersi sia i giovani appassionati sia gli adulti annoiati.

Per farla breve, ecco cosa un lettore e una lettrice qualsiasi possono fare: non leggere; saltare le pagine; non finire un libro; rileggere; leggere qualsiasi cosa; farsi prendere emotivamente dalla storia; leggere ovunque; leggere poche pagine per volta; leggere ad alta voce; non commentare ciò che si è letto.

Le nuove tendenze

Difficile non identificarsi in almeno uno o due di questi “vizi”, anche appartenendo a generazioni diverse. Anzi: in questi ultimi anni, soprattutto grazie alle community di social come TikTok, si sono formati dei veri e propri neologismi, che in un certo senso espandono e completano questi dieci diritti.

Ad esempio, una delle tendenze più in voga tra i giovanissimi è proprio quella del “shelfie”, ovvero lo scatto fotografico di uno scaffale o una pila di libri. Questi ultimi, accuratamente selezionati per rientrare in certi generi letterari, contribuiscono alla “credibility bookcase”. Dunque, più si leggono libri di un certo tipo, più si ottengono autorevolezza e séguito sui social. Una sorta di diritto a essere ciò che leggiamo.

Alcuni di noi sono “bookaholic”, letteralmente drogati di libri, probabilmente gli stessi che fanno “binge-reading”, ovvero la lettura forsennata di tantissimi capitoli di fila. Per altri i libri sono una “therapy”, tanto da farseli prescrivere come terapia psicologica. Altri ancora vanno in “book hangover” dopo aver terminato un libro molto coinvolgente, e non riescono a colmare quella sensazione di vuoto neanche dopo aver soddisfatto il loro desiderio da “shippers”, cioè l’aver tifato un’unione sentimentale tra due personaggi. Insomma, un vero e proprio diritto a considerare ciò che si legge una realtà integrata con la propria vita.

Tsundoku: dimmi cosa (non leggi) e ti dirò chi sei

Una delle parole più interessanti viene però dal Giappone ed è “tsundoku”, ovvero impilare le cose (“tsunde”) e lasciare lì per qualche tempo (“oku”). Un diritto molto simile ai primi citati da Pennac, che nello specifico identifica la pratica di comprare nuovi libri e non leggerli mai. La cosiddetta “pila della vergogna”, a cui qualsiasi lettore e lettrice ha riservato almeno uno scaffale della libreria.

In alcuni casi si tratta proprio di “bibliomania”, un disturbo ossessivo-compulsivo clinicamente riconosciuto. Chi ne soffre acquista libri che non ha alcuna intenzione di leggere, al solo scopo di essere proprietario di quanti più volumi possibile. Non è inusuale che il bibliomane compri diverse edizioni dello stesso libro e che dopo un certo tempo ne sia sopraffatto in termini di quantità, tanto da compromettere le proprie relazioni o la sua stessa salute.

Diverso è il caso della “bibliofilia”, che spesso si esplica attraverso il collezionismo. Il bibliofilo ama profondamente i libri e ne accumula moltissimi, anche per il solo piacere di possedere edizioni rare o particolari. A differenza della bibliomania, la bibliofilia non è una condizione patologica; anzi, pur comprando una montagna di libri, il bibliofilo ne legge altrettanti.

La maggior parte di noi rientra però nella categoria più genuina del fenomeno dello tsundoku, ovvero individui che comprano libri con il preciso intento di leggerli, senza però arrivare a farlo. Anche se questo può provocare un certo senso di colpa, in realtà la pratica non è considerata negativa.

I libri riempiono la vita, siano essi in formato cartaceo o digitale, con la promessa di contenuti meravigliosi, in grado di farci dimenticare i nostri piccoli dolori quotidiani. Come scriveva Alfred Edward Newton, bibliofilo vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, anche quando non si possono leggere, la presenza dei libri posseduti produce una forma di estasi. […] Apprezziamo i libri anche se non li abbiamo letti: il solo fatto di saperli vicini ci fa sentire comodi.

Classicista di formazione, opero da nove anni nel campo della correzione di bozze, del copywriting e dello storytelling. Coordino tutte le pubblicazioni della collana "La Novella Orchidea" fin dalla sua fondazione e collaboro anche in altri progetti nell'area Social Media Marketing.
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